lunedì 13 dicembre 2010

La stampa e l'intelligenza degli eventi

«Un rapporto amichevole ma ruvido con i poteri forti». Cronisti dalla “schiena dritta”. Così il direttore di Repubblica, Ezio Mauro racconta al teatro Petruzelli  il lavoro di informazione e di democrazia della redazione barese, giunta lo scorso 2 dicembre al suo decimo anniversario.

Stefano Costantini, caporedattore dell’edizione locale, elenca le principali campagne condotte da Repubblica che hanno messo in primo piano la città a livello nazionale: il laboratorio politico pugliese, le mense scolastiche, la ricostruzione del Petruzelli, la parentopoli universitaria. E come queste inchieste hanno segnato profondamente l’opinione pubblica, portando un codice etico nell’università.
Quella di Repubblica è un’informazione rivolta ai cittadini. Il giornale non è solo trasmissione dei fatti ma surplus informativo che si distingue dalla “macchina del fango”, ovvero l’altro modo di fare giornalismo che usa i dossier per punire, minacciare, zittire. «Se il potere procede in maniera oscura, l’informazione ha il dovere di aprire le finestre» ribatte Mauro.

Il numero uno di Repubblica, citando Timothy Garton Ash, ribadisce che l’Italiaè un paese liberale tuttavia nel corso delle epoche non sempre è stata garantita la stessa e uguale qualità di democrazia. «Una buona democrazia ha bisogno di cittadini illuminati, informati, consapevoli» precisa. Condizione e impegno etico a cui sono chiamati a rispondere i giornali che hanno l’obbligo di spiegare con gli approfondimenti e i retroscena l’origine dei fenomeni, aiutando il lettore ad avere uno sguardo critico verso la realtà . Ciò che Aldo Moro definiva come “intelligenza degli avvenimenti”.
E su questo punto il sindaco di Bari, Michele Emiliano, ringrazia Repubblica per essersi apertamente schierata in alcune battaglie con l’amministrazione come nella vicenda di Punta Perotti, innescando per prima, un percorso al cambiamento della città e della sua comunità. «Il giornale è l’anima vera che lo lega alla città e per questo dico “grazie Bari” - dichiara Mauro - perché ho sentito il dovere di dare rappresentanza a una delle capitali di questo Paese».

Per il direttore di Repubblica i lettori sono i veri punti di riferimento che ogni mattina acquistano il giornale nonostante la pluralità di fonti e il flusso di informazioni on line. Un esempio è il caso Wikileaks che dimostra come il rapporto tra la rete e i giornali può essere utile per entrambi. «Il giornalismo ha reso intellegibile all’opinione pubblica la montagna di informazioni usando il criterio che usa quotidianamente: la selezione, il principio di relazione, il criterio di gerarchia tra le notizie più importanti e infine l’esercizio di responsabilità» afferma Ezio Mauro. Criteri che permettono al giornalismo di viaggiare dentro il flusso quotidiano dei fatti.

Solo scegliendo, cercando i fili di connessione tra le notizie ed esercitando un’informazione organizzata, la stampa cartacea trova la sua ragione di sopravvivenza. Un percorso lungo e complicato ma che fa la differenza tra sapere e scoprire, tra capire e guardare, tra informazione e conoscenza. E tra essere informati ed essere consapevoli.

lunedì 6 dicembre 2010

La verità al tempo di Wikileaks

Roba da passato remoto il segreto di stato. Così come gli omissis per coprire ancora ciò che non si può dire. Con un solo click, Wikileaks ha aperto prospettive da disoccupati a due categorie di lavoro: le spie e i burocrati degli archivi della pubblica sicurezza. Migliaia di documenti riservati e sottratti in maniera illecita dal Dipartimento di Stato americano, sono stati diffusi sulla rete.

Una situazione difficile da gestire per la Casa Bianca e per la diplomazia americana, di cui sono state messi in piazza i ragionamenti e le strategie. A far scalpore non sono solo gli scenari già comunemente noti, ma la possibilità di leggerli nero su bianco.
I documenti americani, a una prima lettura, non rivelano nulla di sconvolgente. Certo che la loro pubblicazione, in futuro, può risultare dannosa perché potrebbe creare una serie di complicazioni nei rapporti tra i vari governi.
Ma ancor prima che nei contenuti, l’operazione di Wikileaks mette in ridicolo l’apparato di sicurezza degli Stati Uniti. Due colpi di mouse hanno rilevato la fragilità di un sistema che si vantava dei suoi scudi stellari e delle sue testate nucleari.

C’è da chiedersi se questa può essere chiamata libertà, quando tutto finisce sulla rete senza una valutazione a monte. Il promotore, Julian Assange, la definisce come un’operazione-verità o meglio una nuova forma di giornalismo. L’idea che fare giornalismo sia semplicemente il raccogliere ciò che c’è e buttarlo in rete è esattamente l’opposto di ciò che si intende. E qui, non c’è nessun tentativo di dare senso agli eventi.

Ma dietro questo smisurato desiderio di libertà di stampa, si è sicuri che non ci sia dietro un piano di qualche servizio segreto straniero intenzionato con la pubblicazione di questi documenti a far inclinare i rapporti di Washington con gli alleati? Bastano davvero solo un pugno di informatici, un paio di portatili e tante gole profonde per catturare ben due milioni di messaggi da tutte le sedi diplomatiche?

Troppi sono i lati incomprensibili di questa storia. Una cosa è certa. Il potere degli Stati Uniti è in forte declino e al centro di molti attacchi anche interni al paese. Probabilmente Wikileaks è da considerare un nuovo modo di fare spionaggio. Tocca adesso alla diplomazia e all’intero apparato governativo americano aggiornarsi, ideare nuove soluzioni di sicurezza e affrontare la nuova “cyber-guerra”. Ora che l’antico nemico Osama Bin Laden appare solo un ricordo sbiadito.

giovedì 2 dicembre 2010

Carfagna e Mussolini. Amiche nemiche


Mara versus Alessandra. Duello tutto femminile con risposte al vetriolo. Se la scena non fosse stata a Montecitorio, per qualche minuto, si avrebbe potuto pensare di stare a guardare una delle tante trasmissioni tenute da Maria De Filippi. E invece no.
Galeotta fu una foto scattata dalla Mussolini. Viene immortalata la scena del “turpe” tradimento. Mara Carfagna, ministro delle Pari opportunità intenta a fare combriccola con Italo Bocchino, capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà.
Mara se ne accorge e inizia a battere le mani urlando “brava, brava“, Alessandra risponde con un “Vergognati!”. L’accusa è il gesto di infedeltà. Fare accordi con il nemico solo perché nella finanziaria era riuscita a ottenere il “favore” di farsi spostare 20 milioni di euro al suo ministero.
Da qui il processo in direttissima dove i sospetti trovano conferma. Ecco le prove. Il ministro delle Pari opportunità vuole lasciare il Pdl. Quindi Mara tradisce Silvio.

Ma dietro la pseudo baruffa tra comari di alto borgo, in realtà c’è la storia degli appalti del termovalorizzatore di Salerno a tener banco. Un progetto che è tema di scontro non solo tra comune e provincia ma anche tra le due api regine. La Carfagna difende il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca anti-inceneritore, la Mussolini difende Edmondo Cirielli, presidente della provincia salernitana pro inceneritore.
Ma tant’è. I giornali hanno preferito concentrarsi sull’aspetto gossiparo. E a rinfocolare questo circolo mediatico è stata la risposta della Carfagna che ha definito la sua collega una “vajassa” ovvero una “serva”, nel significato dialettale o “prostituta”, in quello moderno. Quale che sia l’accezione che aveva in mente, sicuramente il ministro non ha voluto fare un complimento alla collega di partito.

Se Mara Carfagna fosse stato un uomo baffuto, pelato e con qualche acciacco sulle spalle non ci sarebbero stati questi problemi. Se avesse minacciato le dimissioni perché il partito non gli avrebbe permesso di esprimere il suo dissenso, nessuno si sarebbe scandalizzato. Anzi. Si sarebbe sentenziato che, in fondo, i politici sono tutti uguali, non pensano al popolo ma ai loro porci comodi.

Ma il ministro è una donna, purtroppo. Ha gli occhi dolci dolci e per giunta un passato da soubrette. Ma il problema di Mara è un po’ di tutte le donne, specie negli ambiti professionali.
Sei donna, quindi zitta. Punto e basta. E se ti ribelli è perché sei una strega, un’isterica o stai in menopausa.
Poi se hai il “dono” della bellezza, peggio ancora: “Se sta qui, chissà chi si è fatta”, dicono le invidiose. Se poi sei bruttarella, puoi fare solo pietà. Ti tocca sgobbare più degli altri tuoi colleghi o al massimo fare la loro controfigura.

Il paradosso delle Pari opportunità: sulla carta e non nei fatti.

mercoledì 1 dicembre 2010

Giornalismo. Da bere tutto d'un fiato


Parla come mangi e scrivi come parli”. Questo è il messaggio del giornalista Lino Patruno agli studenti della Scuola di giornalismo di Bari.
Altolà a “bench-marketing”, “base input/output”, “produttivizzazione integrale”. Non fare l’agente di commercio né il bancario. Altrimenti cambia mestiere. Stessa storia per metafore e slogan pubblicitari: “il canto del cigno”, “trovarsi ai ferri corti”, “tempo da lupi”, o “vallettopoli”.
Si è giornalisti solo scrivendo nel più semplice dei modi. No a periodi lunghi articolati, subordinate e parasubordinate. I rischi sono essenzialmente due: si perde il lettore e gli si dà sottilmente dell’ignorante o nel peggior dei casi, dell’imbecille.

In primo piano bisogna mettere solo la notizia. Secca, asciutta e senza paroloni. Scrivere un buon pezzo significa anche dare la possibilità al proprio redattore (o collega) la possibilità di fare un buon titolo.
Chi dice che basta conoscere la grammatica italiana, mente. Palesemente. Creatività e passione sono gli ingredienti principali di questo lavoro. Se non si scrive pezzi interessanti che coinvolgano da subito il lettore (i famosi 20 secondi di “fiducia”), sicuramente non si avrà un pezzo vincente. Un articolo scritto con un evidente trasporto (attenzione non dovete trasformarvi improvvisamente in Rossella O’Hara) risulterà molto più interessante e apprezzabile di un altro, magari, scritto con paroloni ricercati ma senza evidente trasporto emotivo.

Il nostro lettore si chiama Achille, Nicola, Pasquale. Quello che tutte le mattine si alza, beve il caffè e trova quei cinque minuti per leggerci. Grazie a lui manteniamo il nostro posto di lavoro.
Dunque addio a discorsi da letterati e neolingue dell’ultimo minuto. Servirebbe anche a evitare inutili atti di violenza. Come quello celebre di Nanni Moretti in “Palombella rossa”, quando schiaffeggia la giornalista urlandole “ma come parli” e affermando - giustamente - “le parole sono importanti. Chi parla male, pensa male e vive male”.

Non sbagliava. Spesso è vero.