mercoledì 1 dicembre 2010

Giornalismo. Da bere tutto d'un fiato


Parla come mangi e scrivi come parli”. Questo è il messaggio del giornalista Lino Patruno agli studenti della Scuola di giornalismo di Bari.
Altolà a “bench-marketing”, “base input/output”, “produttivizzazione integrale”. Non fare l’agente di commercio né il bancario. Altrimenti cambia mestiere. Stessa storia per metafore e slogan pubblicitari: “il canto del cigno”, “trovarsi ai ferri corti”, “tempo da lupi”, o “vallettopoli”.
Si è giornalisti solo scrivendo nel più semplice dei modi. No a periodi lunghi articolati, subordinate e parasubordinate. I rischi sono essenzialmente due: si perde il lettore e gli si dà sottilmente dell’ignorante o nel peggior dei casi, dell’imbecille.

In primo piano bisogna mettere solo la notizia. Secca, asciutta e senza paroloni. Scrivere un buon pezzo significa anche dare la possibilità al proprio redattore (o collega) la possibilità di fare un buon titolo.
Chi dice che basta conoscere la grammatica italiana, mente. Palesemente. Creatività e passione sono gli ingredienti principali di questo lavoro. Se non si scrive pezzi interessanti che coinvolgano da subito il lettore (i famosi 20 secondi di “fiducia”), sicuramente non si avrà un pezzo vincente. Un articolo scritto con un evidente trasporto (attenzione non dovete trasformarvi improvvisamente in Rossella O’Hara) risulterà molto più interessante e apprezzabile di un altro, magari, scritto con paroloni ricercati ma senza evidente trasporto emotivo.

Il nostro lettore si chiama Achille, Nicola, Pasquale. Quello che tutte le mattine si alza, beve il caffè e trova quei cinque minuti per leggerci. Grazie a lui manteniamo il nostro posto di lavoro.
Dunque addio a discorsi da letterati e neolingue dell’ultimo minuto. Servirebbe anche a evitare inutili atti di violenza. Come quello celebre di Nanni Moretti in “Palombella rossa”, quando schiaffeggia la giornalista urlandole “ma come parli” e affermando - giustamente - “le parole sono importanti. Chi parla male, pensa male e vive male”.

Non sbagliava. Spesso è vero.

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