lunedì 22 febbraio 2010

Questo povero sud


Tricase - Salvateci dal capitalismo di stato. Tocca dirlo, “parlando a figlia perché nuora intenda” affinché i politici, i sindacati e gli stessi operai Adelchi comprendano che il “conto” dell’emergenza non potrà essere inviato al solito “Pantalone”. Ebbene sì, ogni tanto è necessario uscire allo scoperto, in controtendenza a quell’élite intellettuale locale che sostiene idee patetiche, oggi abbracciate a sinistra e a destra dalla classe politica in vigore.
È inutile cincischiarsi, vivacchiare facendo spallucce in attesa di tempi migliori, rattoppando con soluzioni temporanee al problema della crisi. Siamo in un periodo di vacche magre dove assistiamo a crisi cicliche di sistemi produttivi, di erosione della fiducia popolare in certe idee e in certe pratiche. Oggi la gente diffida di ogni rischio e vuole tutela e tende perciò a ripararsi sotto l’ala potente dello stato e della politica che ritornano a rivendicare un primato per certi aspetti sinistro.

Nel tavolo istituzionale convocato a Palazzo Gallone, gli operai Adelchi, poi supportati da egregi nomi della politica salentina-nazionale (da Gabellone alla Capone fino alla Bellanova) hanno chiesto di nominare un tavolo a Palazzo Chigi dove riproporre il rinnovo degli ammortizzatori sociali in scadenza il prossimo giugno. Una scelta ottusa e tutto sommato prigioniera di posizioni assistenzialiste e massimaliste.
Sarà colpa delle elezioni, chissà, o di quel tipico modus vivendi dei nostri politicanti che preferiscono dribblare le difficoltà garantendo l’uovo oggi anziché la gallina di domani: si preferisce adottare l’istituto della “mobilità lunga” che rappresenta, oggi, l’espressione più visibile della negazione di una politica attiva del lavoro.

Possibile che non ci siano altre forme, modalità e tipologie di interventi a sostegno della occupabilità e del reddito dei lavoratori sospesi al fine di favorire loro un rapido reimpiego attraverso riconversioni di professionalità o favorendo la creazione di cooperative sociali?
Un politico dovrebbe sapere che suo dovere primario è sì quello di provvedere ai bisogni vitali della gente, ma anche quello di “ricostruire” nel dopo-crisi, investendo sul capitale umano.
Per questa ragione bisognerebbe adoperare al meglio questo tempo - che per molti è e sarà di non lavoro - per rafforzare le proprie competenze. Non si deve assolutamente costruire - come a quanto pare abbiano deciso di fare gli operai Adelchi - un nuovo bacino di persone assistite. Nel lavoratore deve restare una volontà a rientrare nel mercato del lavoro superata la crisi. E allo stesso tempo è importante tenere viva la base produttiva, fondamentale per evitare le espulsioni immotivate o troppo frettolose da parte degli imprenditori. Non solo. Per il principio di sussidiarietà si dovrebbero creare degli enti bilaterali costituiti anche dalle stesse organizzazioni dei lavoratori (ciò già avviene per gli enti dell’artigianato) che raccolgono soldi all’interno della categoria per impiegarli e integrare l’indennità di disoccupazione.

Purtroppo le politiche di valorizzazione tout court delle risorse umane (la formazione, la flessibilità contrattuale, la produttività, ecc.) sono tra le prime a essere penalizzate e additate quali costi non essenziali e, quindi, da tagliare il prima possibile. In più, per anni, i mercati finanziari hanno applicato (con il sostegno della politica) una filosofia di business fondata sulla speculazione e sulla valorizzazione di beni effimeri incapaci di dare sostanza e futuro a un modello economico stabile.

Però un'eventuale rinascita economica può esserci solo se si tutela e si promuove sotto ogni profilo (politico, economico, giuridico, sociologico) il ruolo essenziale del lavoratore, concepito quale vero e proprio patrimonio costitutivo di un tessuto produttivo.
In Italia prevale un sistema basato sulle piccole medie imprese dove la principale chiave di successo non può che essere rappresentata dal rapporto dinamico e virtuoso tra l’imprenditore illuminato e il lavoratore con una professionalità accentuata. E non si può pensare di arginare l’attuale crisi economica, se non mettendo in primo piano quelle strategie gestionali in grado di valorizzare il contribuito, la produttività, l’efficienza del capitale umano.

Ma questo vuole dire, al contempo, varie cose. In primis, responsabilizzare il lavoratore (cosa che gli operai Adelchi non intendono assumere) all’interno del tessuto economico in cui opera. Un esempio? Dovrebbero essere contrastate tutte quelle situazioni che di fatto rappresentano autentiche rendite di posizione. Il riferimento naturale è costituito dall’abuso degli ammortizzatori sociali, sempre più concepiti come strumenti per accompagnare “alla morte” lavoratori e realtà aziendali irrecuperabili.

Il problema è che, se il trattamento offerto ai disoccupati consiste soltanto in un sostegno del loro reddito, questo rischia di produrre l`effetto contrario: rallentare la ricerca del nuovo lavoro, allungando i periodi di disoccupazione. Se si vuole evitare queste conseguenze, è necessario offrire il sostegno del reddito soltanto a chi è effettivamente impegnato nella ricerca del nuovo lavoro. Ma in Italia questa “condizionalità” dei trattamenti di disoccupazione, pur prevista dalla legge, di fatto non funziona. Vero altrettanto è che nell’industria è molto frequente l’abuso della cassa integrazione, utilizzata per mascherare il sostanziale licenziamento. Ma la scelta di questa soluzione ovvero l’uso prolungato degli ammortizzatori è ben lungi dal risolvere il problema dei lavoratori Adelchi, anzi lo aggrava, perché più dura il periodo di disoccupazione, ancorché mascherato, più diventa difficile ricollocare il lavoratore.

Sono momenti di impasse per le istituzioni che richiedono sforzi di fantasia e di coraggio per ottenere la quadratura del cerchio. Circostanza possibile, se si decide di porre alla base delle proprie azioni politiche per il rilancio del mondo del lavoro, come chiave di svolta, la centralità del capitale umano, attivando gli incentivi economici giusti.

Fonte:«Diciamo» anno IV n° 86 del 20/02/2010

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