venerdì 6 novembre 2009

Il pozzo di S. Patrizio


“Nomen omen”, dicevano gli antichi romani. Il destino è racchiuso nei nomi. Niente di più vero come in quello che sta per nascere. La “Banca del Mezzogiorno” - che solamente a pronunciarla - richiama il ricordo della sciagurata esperienza della Cassa del Mezzogiorno.

Un buco nero capace di inghiottire migliaia di miliardi delle vecchie lire, lasciando in eredità impianti industriali scadenti, devastazione ambientale e disagio sociale. La banca del Sud «non sarà un carrozzone», parola di Giulio Tremonti. Ci crediamo. O meglio tentiamo di autoconvicerci. Ma chi è nato, cresciuto e “pasciuto” nella terra del Sud, sa bene che il flop di questa iniziativa è quasi dietro angolo. Il nuovo istituto potrebbe ripercorrere i vecchi schemi e sfociare in pericolose derive clientelari, producendo disavanzi e costi a carico della collettività. Non di meno potrebbe diventare un mezzo di gestione politica per ottenere aiuti economici.

Le cronache dei giorni scorsi raccontano che nell’ultimo consiglio dei ministri non è corso buon sangue. Dissidenti il ministro agli Affari regionali, Raffaele Fitto e il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo che si aspettavano ben altro piano di investimenti probabilmente volto a favorire la vocazione turistica e agroindustriale tipica del Sud. Niente da fare, il ministro ha deciso così e basta. Anzi è convinto che la nuova banca «servirà a finanziare le piccole e medie imprese» e «lo Stato avrà il ruolo del socio promotore», sottoscrivendo una quota simbolica di minoranza. Ma la scommessa per Tremonti «è che cammini con le sue gambe».

La banca di Tremonti ha tutta l’aria di percorrere la strada battuta dal modello francese “Crédit Agricole”. Un colosso finanziario che di privato ha davvero poco ma che finora è risultato funzionante grazie alle facilitazioni fiscali e al trattamento estremamente benevolo in tema di antitrust e trattamento dei consumatori. Il nuovo istituto finanziario italiano sarà infatti una federazione di banche cooperative dove sarà chiesto il contributo di Poste italiane. Peccato che il nuovo colbertismo non potrà mai decollare perché i nei del sistema italiano sono tanti. Investire al Sud è più pericoloso rispetto al Nord perché le mafie si insidiano negli investimenti. In più non esiste un tessuto socio-economico adeguato in quanto la carenza di infrastrutture rallenta la circolazione delle merci e delle persone e naturalmente affossa l’attività imprenditoriale e della pubblica amministrazione, in larga parte risultata inefficiente e caratterizzata da sprechi.

Indubbio è il fatto che il Sud abbia bisogno di una fiscalità di vantaggio, ma questo poteva essere un obiettivo raggiungibile anche con gli istituti di credito già esistenti. Di banche al Sud ce ne sono state, eccome, ma di solito sono affondate una dopo l’altra a causa di un uso improprio delle pratiche e di gestioni anacronistiche. Prima fra tutti il Banco di Napoli e a seguire quello di Sicilia, istituti sprofondati a causa di conti in profondo rosso. Senza parlare delle erogazioni ricevute tempo addietro tramite la Cassa del Mezzogiorno e i fondi Fas. Anche se nel Meridione i finanziamenti non ne sono mai mancati, oggi come oggi non ci sono le condizioni giuste per farli fruttare.

La boutade del ministro «in questa banca non si parlerà inglese» sa solo di spot elettorale. Tremonti dimentica che i più accesi liberisti di lingua inglese sono stati i maggiori critici degli eccessi degli ultimi anni. L’attuale crisi finanziaria è nata dagli abusi che le banche hanno praticato per obbedire ai propri padrini. Non guardare le esperienze anglosassoni significa stoltamente applicare la politica dello struzzo. Molti temono che il nuovo progetto per il Sud se dovesse vivere grazie a sussidi pubblici, giustamente incapperebbe nel mirino dell’Ue poiché rappresenterebbe un elemento distorsivo alla concorrenza.

Ma c’è un altro rischio ben peggiore legato anch’esso all’Europa. Riguarda il debito pubblico. Lo Stato ha deciso di creare obbligazioni di scopo. Queste potranno essere emessi anche da altri intermediari finanziari. Ma se questi titoli saranno effettivamente garantiti dallo Stato, verranno assimilati a debito pubblico. E l’Europa dinnanzi a questo fatto non sarebbe tenera.

Di certo, la scelta di riproporre un modello fallimentare dandogli una mano di vernice non risolverà i problemi di credito nel Mezzogiorno. Gianbattista Vico avrebbe detto che sono “i ritorni della storia”. Ma la storia, spesso, non si ripete per analogie. E non è un caso se la nuova banca continua a essere pensata come la vecchia “Cassa per il Mezzogiorno”, piuttosto che alla innovativa “Crédit Agricole”.

Fonte: «Diciamo» , anno n° III, n° 79 del 07/11/2009

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