sabato 26 maggio 2012

IL CASO. "Io, innocente, in prigione nel Bahrain". Su Twitter l'atto di accusa di un'attivista

La donna, di cui non si aveva notizia da giorni, scrive una lettera in cui fa sapere di essere detenuta in carcere dalle autorità locali. E non solo condanna il sistema giuridico del Paese ma denuncia gli abusi continui che subiscono i dissidenti


MANAMA - Una lettera appassionata, dolorosa, di dura denuncia, divisa in frasi da 140 caratteri su Twitter. Sull'account della famosa attivista Zainab al-Khawaja, @AngryArabiya, silenzioso da parecchie settimane, ieri sono cominciati a uscire i misteriosi tweet con l'avvertimento: "Non sono Zainab, lei è in carcere e mi ha pregato di far uscire questa lettera". Probabilmente il marito dell'attivista, o qualcun'altro a lei vicino in possesso delle sue password, ha informato le migliaia di follower della sorte della giovane donna e delle sue parole di denuncia, e di umana sofferenza lontana dalla sua bambina. Zainab spiega di essere stata arrestata dalle autorità locali con l'accusa di aver commesso una serie di reati, tra cui l'aggressione a un poliziotto. Nella missiva, la donna non solo si dichiara innocente ma denuncia gli abusi che subiscono i dissidenti delegittimando anche l’attuale sistema legale vigente nel paese.

FOTO Il J'accuse di al Khawaja 

Zainab al-Khawaja (foto di Connor McCabe)

La lettera. Nel documento, al-Khawaja - figlia del famoso Abdulhadi al-Khawaja, leader del movimento di protesta antigovernativo nel Bahrain, da mesi in sciopero della fame e in questi giorni comparso in tribunale in sedia a rotelle - ammette il desiderio di uscire dal carcere per poter riabbracciare la sua piccola
di due anni. Tuttavia il solo pensiero di scendere a compromessi con le autorità del Bahrain la fa desistere. Motivo? Non pregiudicare la causa democratica per il suo paese e il sacrificio dei tanti compagni uccisi barbaramente con sentenze sommarie.

"Sì, sogno di mia figlia, mentre dormo, quando sono sveglia. Ma so già che se fossi da lei, non mi darei pace", dice la donna nella lettera. Poi riferendosi a un collega attivista che ha visto morire, Zainab scrive: "Un uomo innocente è stato condannato a morte in un processo che è durato meno di 15 minuti, senza avvocato e senza l'appoggio dei suoi familiari". E la sentenza è stata eseguita immediatamente.

La situazione in Bahrain. Il rapporto di una commissione internazionale governativa ha confermato l'uso diffuso della tortura nelle carceri del paese, così come gli abusi compiuti da parte delle forze di sicurezza. E nonostante l'esecutivo abbia condotto una serie di riforme, gli attivisti ribadiscono che poco o nulla è cambiato.

"Il mio avvocato mi ha detto che l'ultima volta il giudice avrebbe potuto considerare il mio rilascio se fossi stata in aula. Ora crederà che alla prossima udienza io ci sarò. Questa affermazione non ha alcun peso per me se pronunciata da un magistrato che sta a capo di un processo politico del tutto ingiusto. Ciò che cerco, in realtà, non è lasciare il carcere. Il mio caso è simile a quello di centinaia di innocenti prigionieri politici in Bahrain. Il mio rilascio, senza di loro, non significa niente per me", conclude Zainab nella lettera.

Le accuse di al-Khawaja escono proprio nel giorno in cui il Bahrain ha fatto sapere che terrà in considerazione le raccomandazioni delle Nazioni Unite sui diritti umani. Il Palazzo di vetro chiede alla monarchia sunnita di abbandonare la tortura, di rilasciare i prigionieri politici e di aderire alla Corte penale internazionale.

Fonte: La Repubblica.it del 24 maggio 2012

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